"Nella vita e nell'arte la Cvetaeva aspirò sempre, impetuosamente, avidamente, quasi rapacemente, alla finezza e alla perfezione: e, nell'inseguirle, si spinse molto in avanti, sorpassò tutti…(…) ha scritto una quantità di cose ancora sconosciute: opere immense, tempestose…La loro pubblicazione segnerà un trionfo e una rivoluzione per la nostra poesia,…" Queste sono solo alcune delle parole che Boris Pasternak dedicò nel 1956 alla Cvetaeva.
E' un giudizio e - nel contempo- quasi una profezia poi avveratasi, sull'importanza e sulla posizione dominante della poesia della Cvetaeva nel panorama russo e non solo.
La vita di Marina fu piena di eventi fuori dal comune, a partire dalla famiglia d'origine: madre pianista di famiglia tedesco-polacca :“Da mia madre ho ereditato la Musica, il Romanticismo, la Germania”; padre noto filologo e critico d’arte (fondatore del museo Puskin). Dunque Marina nasce e passa la prima giovinezza in un humus culturale e intellettuale elevatissimo. Nel 1912 sposa Sergej Efron, primo editore delle sue opere con cui avrà un matrimonio complicato anche da eventi esterni tragici, da separazioni e delusioni. A lui fa una promessa "Ti seguirò come un cagnolino" e -purtroppo per lei- la mantiene, pur coltivando vari amori collaterali etero e saffici. Ci sono nella vita di Marina viaggi, emigrazioni e ritorni e un numero impressionante di privazioni e tragedie. La figlia Irina morirà di stenti a due anni, lei proverà la povertà, la miseria, l'umiliazione, il saccheggio della casa (nel 1917), l’emarginazione e morirà suicida nel 1941.
In Marina Cvetaeva coesistono due elementi estremi e grandiosi: la tragicità degli eventi della sua vita e la straordinarietà di un genio poetico fuori dal comune.
Nel 1913, a soli 20 anni, immaginandosi morta e sepolta, si rivolge con questi versi ad un passante:
…Leggi - di ranuncoli
e papaveri colto un mazzetto-
che io mi chiamavo Marina
e quanti anni avevo…solo non stare così tetro,
la testa china sul petto.
Con leggerezza pensami,
con leggerezza dimenticami.
Dalla nota di Bianca Venturini