"Il corpo in cui sono nata" di Guadalupe Nettel, un romanzo di formazione, un memoir che ha il ritmo di un'indagine minuziosa.
Noi lettori conosciamo la protagonista durante una seduta di psicoanalisi, in un lungo dialogo che sembra non avere inizio e non vedere la fine. La donna che ci racconta la bambina che fu è la scrittrice stessa. Ci troviamo a leggere la sua storia, una ragazzina che nasce con un neo bianco sulla cornea dell'occhio destro. La luce non arriva al cervello e vedere il mondo per Guadalupe è complicato. C'è da attendere, sperare nei progressi della ricerca medica e crescere.
Siamo in Messico, sono gli anni 70 e sembra stia per cambiare il mondo.
Mentre gli anni passano, la bambina cresce, cambia tutto e quasi niente.
Guadalupe osserva i suoi genitori separarsi e combinare guai, ascolta la nonna darle regole che non rispetterà e comincia a orientarsi a tentoni nel mondo.
Sono pagine generose quelle di questo romanzo. La scrittrice ci consegna la sua infanzia con la consapevolezza che quello che ha vissuto lei potrebbe avere poco in comune con la realtà dei fatti e sembrare ai suoi genitori qualcosa di simile a una grande menzogna. Mentre seguiamo la sua crescita e le sue parole, scopriamo che è proprio grazie al suo vedere sfocato che lei ha imparato a narrare il mondo.