Ricordiamo Antonio Delfini, a cinquant'anni dalla morte avventuta a Modena nel febbraio del 1963, nella più assoluta indifferenza del mondo culturale italiano. Era nato a Disvetro, nel comune di Cavezzo (MO) nel 1907, da una delle famiglie borghesi più ricche del modenese. Il padre, che possiede circa 3000 biolche di terra, case e fienili, ha però il vizio di scommettere sulle corse dei cavalli e quando muore, un anno dopo la nascita di Antonio, il patrimonio è già considerevolmente ridotto. Ma Delfini cresce tra gli agi, non frequenta la scuola pubblica perchè è la madre che gli insegna a leggere e scrivere, e coltiva interessi di cultura, di viaggi e di letture. A Modena pubblica nel '31 il suo primo libro Ritorno in città, presso l'editore Vincenzi. Conosce e diventa amico di Ugo Guandalini, che lo introduce nel mondo della letteratura, e nel '33 si trasferisce a Firenze. Nel '38 esce da Parenti a Firenze Il ricordo della Basca e nel '40 Il fanalino della Battimonda. Delfini vive tra Firenze, Viareggio, Roma e Modena, sempre attingendo dalle vendite dei fondi modenesi, e conosce letterati come Moravia, Montale, Benedetti, Pannunzio, Luzi. Dopo la fine della guerra si ritira a Viareggio dove conduce una vita molto ritirata e progressivamente sempre più povera. E' tuttavia il momento centrale della sua attività: La Rosina perduta (Vallecchi, 1957) Misa Bovetti e altre cronache (Scheiwiller 1960), Modena 1831, città della Chartreuse (Scheiwiller 1962), le Poesie della fine del mondo, (Feltrinelli, 1962) ed infine, postumi, i Racconti (Garzanti 1963, premio Viareggio di quell'anno).
Dalla nota di Giuseppe Marchetti