Ferdinando Tartaglia (Parma, 1916 – Firenze, 1987) è stato un presbitero, scrittore e teologo italiano. È stato uno dei più singolari protagonisti del XX secolo del pensiero religioso contemporaneo.
Giovane sacerdote, apparve come una meteora nella Firenze del primo dopoguerra. Parlava di religione come nessuno prima: con un rigore, un'esigenza di assoluto, una insofferenza per ogni pensiero tiepido che lasciavano sconcertati e affascinati. Era «l'uomo della novità», come lo chiamò in un memorabile libro di ricordi Giulio Cattaneo. Ma la novità di Tartaglia non significava solo abolizione di tutte le posizioni spirituali, e quindi anche di quelle religiose: comportava la costruzione di una «realtà nuova», il «puro dopo». Non meraviglia che la Chiesa reagisse a tanta audacia, arrivando sino alla scomunica più grave. Quanto a Tartaglia, dopo alcuni scritti folgoranti usciti tra gli anni Quaranta e Cinquanta, si chiuse in un silenzio che non ruppe sino alla morte, avvenuta nel 1988.
L’esercizio della poesia ha segretamente accompagnato Tartaglia lungo tutto l’arco della sua esistenza, dall’infanzia-adolescenza sino alla morte. Ed è quest’opera immensa – composta di circa settemila testi, quasi del tutto ignoti, di cui si propone qui la prima scelta antologica – a custodire il volto nascosto dell’«uomo della novità», di colui che annunciava la «novità pura e totale oltre questa realtà, irrealtà, soprarealtà», oltre «la cupola troppo facile del divino», e dunque un «puro irriferito» che non si può definire ma solo trovare per via negativa. Negli scritti poetici, infatti, la parola non è bloccata, come nota Marchetti, «al punto morto in cui si è spinto il pensiero», ma aderisce al pensiero nel suo stato nascente.
La tensione religiosa che domina anche questi temerari Esercizi di verbo, splendidamente isolati nel panorama della letteratura italiana del Novecento, è insieme dolore insanabile, confronto protervo, spasimo conoscitivo, furia epigrammatica (che colpisce anche alcuni illustri autori dell’epoca). E il linguaggio, spesso abrupto, contorto, esacerbato – nella mescolanza di comico e tragico, sublime e triviale –, attinge talvolta alle più remote radici della nostra tradizione poetica, spingendosi fino al limite estremo dell’afasia: «Balbettando, dico. Balbettando, annuncio. Balbettando, proclamo».
Con-versi-amo lo ripropone con Esercizi di verbo, (Adelphi, 2004) una scelta antologica della sua immensa produzione, ancora oggi in gran parte inedita.